Nel 1906, il medico tedesco Alois Alzheimer descrisse per la prima volta la demenza come una malattia. Fino ad allora la demenza era vista come una conseguenza dell’invecchiamento per cui le persone anziane sembravano regredire allo stadio infantile.
Durante il ventesimo secolo, ha prevalso un approccio scientifico alla malattia. Nel secondo dopoguerra in particolare, la ricerca medica ha vissuto una stagione di grande progresso in diversi ambiti, tra cui quello degli psicofarmaci. Nello stesso periodo, molte persone con demenza sono state inserite nei reparti psichiatrici quando il loro comportamento sembrava inspiegabile e trattate con farmaci psicoattivi. Più tardi, le persone con demenza hanno iniziato a vivere in case di cura dove si pratica il cosiddetto “orientamento alla realtà” (Holden e Woods 1988). L’approccio ha lo scopo di calmare e ridurre il disorientamento ma, nei fatti, implica che la persona con demenza venga “corretta” quando dice qualcosa di non adeguato. L’utilizzo di questa pratica ha inoltre l’effetto di far provare alla persona con demenza sentimenti di dolore anche più volte al giorno, ad esempio quando le viene chiesto dove si trovi la propria madre e le viene detto che è morta molto tempo prima.
Negli anni Ottanta, Tom Kitwood ha iniziato a lavorare con l’approccio centrato sulla persona, in un momento in cui al posto del paradigma biomedico inizia ad affermarsi un approccio più psicosociale alla salute delle persone in generale e di quelle con demenza in particolare.
Tom Kitwood costruisce il suo modello a partire dal lavoro del filosofo tedesco Martin Buber sulla relazione tra le persone come una relazione “Io-tu”, al contrario di un rapporto “Io-esso”, con una revisione della relazione con la persona malata. Anche il lavoro dello psicologo Carl Roger sull’approccio centrato sulla persona nella relazione terapeutica ha avuto una grande influenza su questo modello. L’approccio centrato sulla persona di Tom Kitwood dovrebbe essere visto come una critica agli approcci e ai trattamenti delle persone con demenza che enfatizzano solo la disabilità e la malattia della persona.
Kitwood crede che nella nostra tradizione culturale sia presente un approccio degradante e non idoneo per le persone con disabilità cognitive. Secondo Kitwood, approccio centrato sulla persona significa vedere la persona con demenza come una persona uguale alle altre, con i propri sentimenti, diritti, desideri e una storia di vita comunque presente e importante da considerare prima che la persona avesse la demenza.
Questo approccio costituisce la base per metodi più recenti, ad esempio l’Eden Alternative di Bill Thomas (Thomas 1996) e il lavoro di Jane Verity per ridare la giusta “qualità della vita” alle persone con demenza.
Esistono ricerche che dimostrano che l’approccio centrato sulla persona ha un impatto positivo sulla qualità della vita delle persone, tra cui il benessere e la salute delle persone affette da demenza (The Well-Being and Health for People with Dementia – WHELD).
Kitwood ha lavorato ad una definizione alternativa di demenza e all’analisi dei fattori che influenzano la condizione della singola persona. Alla base del suo approccio c’è l’idea che una persona con demenza debba essere compresa sia dal punto di vista biologico, che da quello psicologico e sociale.
Definizione = P + B + S + N + P
• Personalità: risorse e meccanismi di difesa della persona
• Biografia: storia di vita / esperienze di vita
• Salute: condizioni fisiche e funzionamento dei sensi
• Neuropatologia: cambiamenti nelle cellule cerebrali
• Psicologia sociale – condizioni nell’ambiente – come entriamo in relazione con la persona.
Il caregiver non può fare nulla riguardo alla personalità se la persona ha la demenza, ma può tenere conto del suo background, delle sue risorse e dei suoi limiti. La biografia e la storia della vita sono un buon punto di partenza per qualsiasi azione e relazione. Dobbiamo prestare attenzione alla salute della persona nel suo insieme. Spesso l’individuo ha più malattie o una malattia acuta oltre alla demenza. In presenza di altre malattie le persone con demenza dovrebbero ovviamente essere curate globalmente.
Non sappiamo molto dei cambiamenti neuropatologici nel cervello. I farmaci possono funzionare per un periodo e migliorare la capacità di funzionamento, ma l’effetto non è duraturo. Come caregiver, dobbiamo tenere conto delle capacità dell’individuo e chiedere a ogni persona con demenza ciò che è rilevante per loro. Possiamo lavorare molto sulla relazione, prestando attenzione a come ci relazioniamo con la persona e come creiamo un ambiente in cui può stare bene.
Kitwood sottolinea che la persona con demenza mantiene il suo valore di essere umano durante tutto il processo della malattia. Ciò implica avere l’opportunità di impegnarsi in relazioni soddisfacenti e dove la persona viene apprezzata. Come esseri umani, è importarsi sentirsi apprezzati in una comunità. Come persone dipendiamo dal reciproco riconoscimento, rispetto e fiducia. Questi bisogni non scompaiono perché si ha la demenza, ma diventa più difficile esprimerli e soddisfarli. Spetta al caregiver essere consapevole dell’importanza dei bisogni di base. La persona con demenza non può farlo da sola.
Nel suo lavoro, Kitwood ha sottolineato sei bisogni psicologici essenziali per tutte le persone:
• Amore: accettazione incondizionata ed empatia.
• Comfort: la persona ha bisogno di sicurezza, calore e vicinanza.
• Identità: conoscere chi si è e il proprio passato.
• Affiliazione: legami, relazioni con gli altri, fiducia nelle relazioni e nell’altro, con cui affrontare anche le situazioni difficili.
• Impegno personale significativo: partecipare alla propria vita in modo da usare le proprie capacità, forza ed esperienza. Sentire che si è necessari e che si ha qualcosa da fare.
• Inclusione: far parte di una comunità sociale e sentirsi accettati.
Le persone con demenza hanno bisogno di supporto per soddisfare queste esigenze universali.
Tom Kitwood crede che quella che lui chiama psicologia sociale dannosa possa influenzare negativamente le persone con demenza, che quindi peggiorano e smettono di interagire con il mondo esterno o possono mettere in atto comportamenti problematici.
Per psicologia sociale dannosa possiamo intendere:
1. Minacce: instillare paura attraverso minacce o potere fisico.
2. Trascuratezza: rifiutare di prestare attenzione o soddisfare un bisogno evidente.
3. Ritmo troppo elevato: fornire informazioni troppo velocemente, esporre la persona ad alternative o a condizioni di pressione eccessive rispetto a quanto possa fare e sopportare.
4. Infantilizzazione: trattare una persona come se fosse un bambino piccolo.
5. Etichettamento ovvero rivolgersi alla persona in modo offensivo.
6. Valutazione negativa: dire a una persona che è incompetente, inutile e senza valore.
7. Biasimo: accusare una persona di azioni o mancanza di azioni derivanti da una sua inabilità o dall’incomprensione della situazione.
8. Tradimento: usare forme di inganno per distrarre o manipolare una persona o costringerla a conformarsi ad un comportamento.
9. Sminuire la persona: non riconoscere la realtà o i sentimenti soggettivi delle persone.
10.Incompatibilità: non consentire a una persona di usare le abilità che ha effettivamente; non essere in grado di aiutarlo a completare le azioni da svolgere.
11. Interferenza: costringere una persona a fare qualcosa.
12. Interruzione: interferire con l’azione o il discorso di una persona, violare i loro “punti di riferimento”.
13.Oggettivazione: trattare le persone come se fossero oggetti.
14. Stigmatizzazione: trattare una persona in maniera negativa a causa di un pregiudizio.
15. Ignorare: continuare il discorso o l’azione con una terza persona come se la persona non fosse presente.
16. Isolamento: mandare via una persona o escluderla – fisicamente o mentalmente.
17. Ridicolizzare: prendere in giro le azioni o le osservazioni “strane” di qualcuno, umiliare o scherzare a spese della persona. Lo scopo di questo comportamento nei confronti della persona può non essere inteso come malevolo, ma il risultato è negativo.
Secondo Kitwood nella nostra tradizione culturale c’è il pensiero, consapevole o meno, che le persone con disabilità mentali siano inferiori. Queste persone vengono “parcheggiate” o non coinvolte in modo adeguato e trattate di conseguenza.
Evitare che i comportamenti sopra riportati entrino nel lavoro assistenziale richiede un costante lavoro e consapevolezza del modello centrato sulla persona. Richiede apertura per tutti i caregiver in modo che l’approccio della psicologia sociale dannosa (o svalutante) non prenda piede.
L’opposto della psicologia sociale dannosa è il “lavoro positivo con la persona”. Esso rappresenta una nuova cultura dell’assistenza incentrata sulla vita quotidiana e sulla comunità. Il lavoro personale positivo è ciò che aiuta a costruire l’autostima e la dignità della persona con demenza e contribuisce al benessere e alla qualità della vita.